mercoledì 7 giugno 2017

Dopo il capitalismo

after capitalism

Tutti vogliono andare in paradiso ma nessuno vuole morire per andarci!
- di Jehu -

Se mai vi dovesse venir voglia di argomentazioni contro il comunismo da parte di un lavoratore, ditegli che il comunismo vuole le seguenti cose:
- Tutti sono disoccupati
- Nessuno ha un reddito qualsiasi
- La democrazia non esiste più
- Nessuno può possedere niente

Il paradosso del comunismo consiste nel fatto che esso sembra comportare condizioni che appaiono del tutto inaccettabili per qualsiasi persona razionale. Chi è che, sano di mente, può non volere un posto di lavoro che gli paga un salario decente, il diritto al voto ed il controllo dei mezzi di produzione? E perché mai qualcuno che dichiara di lottare per l'emancipazione sociale dovrebbe sostenere questo genere di cose?
Certo, si può provare a migliorare la situazione dicendo, "Oh, io non intendo dire che tutti sono disoccupati; ma questo significa che non c'è più lavoro salariato", ma la gente non è stupida. Sanno bene che quando affermi "Niente più lavoro salariato", quello che vuoi dire realmente è "il 100% di disoccupazione". Sanno che il comunista vuole che tutti siano senza lavoro - di modo che, semmai i comunisti avranno successo, uccideranno l'economia e, nella maggior parte degli scenari che si possono immaginare, ci faranno sprofondare tutti nella povertà.
E non dite che non è così, visto che i comunisti non pensano che le persone devono essere pagate per la loro forza lavoro.
Perciò ditemi una cosa: come si pensa che la gente possa pagare le sue bollette, se non vengono pagati per la loro forza lavoro? Pensate forse che possiamo semplicemente smettere di pagare le nostre bollette? E poi? Chi costruirà le strade? Chi coltiverà il cibo? Che succede se mi ammalo ed ho bisogno di cure mediche? Chi istruirà i miei figli?
Di fronte a questo tipo di domande, la maggior parte dei comunisti che ho letto cominciano immediatamente a cercare di mostrare come essi immaginano funzionerà l'utopia comunista: costruiscono sistemi immaginari, o esperimenti limitati ad una città, come quelli di cui parla Alan Nasser in un recente articolo:
"Ci sono esempi reali che posso servire da punto di partenza per un modello funzionante di economia democratica socialista. Viene subito in mente Mondragon. Per circa 25 anni, la Jugoslavia sotto Tito ha avuto un'economia in cui i lavoratori prendevano in leasing dal governo impianti produttivi, organizzavano loro stessi la produzione e determinavano il modo in cui dovevano essere distribuiti, fra salari e reinvestimenti, i ricavi dell'azienda. In After Capitalism (Rowman and Littlefield, 2011), David Schweickart propone un modello raffinato e realistico di a che cosa dovrebbe somigliare un'economia democratica socialista praticabile, basato in parte sull'esperienza jugoslava. Anche Gar Alperovitz (What Then Must We Do?, Chelsea Green, 2013) e Michael Albert (Parecon: Life After Capitalism, Verso, 2003) hanno contribuito alla discussione. C'è un bel po' di grano da macinare, per il nostro mulino."
Il problema sollevato dall'esempio di Nasser è duplice: In primo luogo, se la Jugoslavia ebbe così tanto successo, che fine ha fatto oggi? In secondo luogo, perché, in tutti gli esempi citati, non vediamo mai chiaramente una strada che porta alla fine della classe, del lavoro, della proprietà e dello Stato? La questione è perché questi sistemi non vanno mai oltre un certo definito limite, e collassano sempre in un qualche nuovo Stato, in qualche nuovo metodo di lavoro coercitivo, ed in qualche nuova forma di proprietà.

Il paradosso del comunismo
È questo ciò che io chiamo il paradosso del comunismo: tutto ciò che è comunista appare in questa società come una catastrofe per la società esistente. Questo paradosso non è semplicemente un prodotto della mancanza di immaginazione da parte delle persone nella società attuale. Per passare, da una situazione in cui ciascuno deve vendere la sua forza lavoro, al comunismo, nelle condizioni della società attuale ciò comporta un numero sempre più grande di persone che non riescono a trovare lavoro. Il comunismo può essere la fine del lavoro salariato, ma porre fine al lavoro salariato implica sempre l'incremento della disoccupazione, la concorrenza nella vendita della forza lavoro e la distruzione sociale. E se la gente non riesce a trovare lavoro, si rivolgerà a coloro che promettono di creare lavoro, non a quelli che sostengono che si possa vivere senza lavoro.
Ciò che distingue il comunismo dalla politica, non è realizzare che la fine del lavoro salariato è un bene - cosa che non appare mai empiricamente - ma che è inevitabile. Quindi, la disoccupazione al 100% può non apparire come un beneficio per la classe operaia, ma si tratta dell'inevitabile risultato di processi che avvengono al di sotto dell'attuale società.
Non può essere evitata.
Si tratta di ciò che Ben Noys chiama la "radicale o quasi-marxista astuzia della ragione" - l'idea secondo cui, nel modo capitalistico di produzione, la disoccupazione è la strada più probabile per il comunismo. L'argomento di Noys è semplicemente la versione accademica della reazione che avrebbe ogni lavoratore se gli venisse detto che il comunismo ha come obiettivo quello di porre fine al suo lavoro. E la reazione di Noys a questo processo è esattamente quella che ci aspettiamo. La richiesta di un intervento politico immediato per impedire che avvenga il comunismo.
Nessuno sano di mente vuole il comunismo, in quanto esso emerge naturalmente sotto forma di un'immensa catastrofe sociale. Equivale alla stessa cosa per cui B.B.King che canta,  “Everybody wants to go to heaven but no one wants to die to get there." Tutti vogliono vivere senza aver bisogno di vendere la loro forza lavoro e senza la routine quotidiana del lavoro salariato, ma nessuno vuole essere disoccupato.
Comunque, per quanto ne so, a parte pochi vecchi patriarchi, tutti quelli che sono andati in paradiso hanno dovuto prima morire. Perciò sembra che siamo destinati a lottare contro l'emergere del comunismo finché non si esauriranno tutti i mezzi di lotta. Quindi, lottare è una profonda reazione politica alla terribile prospettiva della disoccupazione, ed avviene ad un livello di coscienza che non viene facilmente contrastato. La reazione dell'intera società, e di entrambe le classi sociali, è quella di impedire a tutti i costi l'emergere del comunismo.
Tale reazione politica, tuttavia, opera su due distinti livelli che non dovrebbero essere mescolati. Dobbiamo decostruire la paura che il comunismo suscita nella classe operaia.

Decostruire la paura
Se prendiamo il I volume del Capitale, Marx comincia la sua analisi del modo di produzione capitalista distinguendo fra i due aspetti della merce: valore di scambio e valore d'uso. Ritengo che la reazione delle due classi sia ciascuna collegata ad un diverso aspetto di questa contraddizione iniziale.
Sebbene la reazione politica di entrambe le classi sia la stessa, ciascuna classe esprime nella sua politica una paura riguardo l'impatto che, sulle loro condizioni materiali di esistenza, hanno i differenti aspetti della produzione di merci. Per quel che riguarda la classe capitalista, la reazione è legata alla merce in quanto valore di scambio; mentre, riguardo la classe operaia, la relazione si lega alla merce in quanto valore d'uso.
Vale a dire, i capitalisti assumono la fine del lavoro salariato in quanto fine della produzione di valore e di plusvalore; mentre la classe operaia assume la fine del lavoro salariato come l'attuale minaccia mortale alla loro esistenza fisica, in quanto minaccia di morire di fame.
La distinzione fra le due classi va qui enfatizzata, in quanto la fine del lavoro salariato può infatti essere la fine della produzione di beni, ma questo non implica sia la fine della produzione di valore che della produzione del valore d'uso. Mentre la produzione del valore arriva alla fine, la produzione del valore d'uso non finisce e non può finire.
E tale distinzione è anche fondamentale in quanto la produzione di valore d'uso non dipende necessariamente in alcun modo dal lavoro vivo. Il valore d'uso può essere prodotto in quantità enormi utilizzando solamente una trascurabile quantità di lavoro vivo incorporato nella sua produzione.

Al livello politico della reazione sociale all'idea del 100% di disoccupazione, entrambe le classi hanno la stessa reazione: entrambe lotteranno con tutti i mezzi a loro disposizione contro l'emergere del comunismo. Ciò implica che, a livello della politica, i comunisti di tutte le varietà non saranno altro che una forza politica marginale. Nella misura in cui mirano a mettere fine al lavoro salariato, tale obiettivo può avere solamente un'espressione politica marginale. Il comunismo può essere solo l'obiettivo della società per cui la produzione di valore d'uso può essere separato dalla produzione di valore di scambio.
Teoricamente, la separazione della produzione di valore d'uso dalla produzione di valore di scambio può cominciare solo una volta che l'attività produttiva della classe operaia non viene impegnata esclusivamente nella produzione di valore di scambio. Ciò richiede che la società abbia a disposizione tempo libero disponibile per essere impiegato nelle attività produttive che non mirano e non possono mirare in alcun modo alla produzione di valore di scambio.
In altre parole, la separazione della produzione del valore d'uso dalla produzione di valore di scambio è possibile solo quando il tempo libero disponibile della società diventa la fonte principale del valore d'uso. Credo che questo non possa avvenire finché quasi tutto (o almeno la maggior parte) del tempo personale degli individui nella società non sia tempo libero disponibile. Maggiore è la quantità di tempo libero disponibile che la società possiede, tanto più è probabile che questo tempo libero diverrà esso stesso la fonte più importante di ricchezza materiale.

Il problema con cui al presente ci confrontiamo è che la produzione di ricchezza materiale non può essere separata dalla produzione di valore, perché la classe operaia ha molto poco tempo a disposizione per impegnarsi in qualsiasi attività che non si basi sulla produzione di valore. Questo problema non può essere risolto domandando allo Stato di creare posti di lavoro, di fornire un reddito di base, di aumentare il salario minimo o attraverso altre misure molto popolari oggi presso la sinistra. Non può nemmeno essere risolto da idee più avanzate, quali il socialismo di mercato, le cooperative e perfino da una pianificazione centrale di stile sovietico.
Il problema non è come il lavoro salariato viene organizzato, gestito o ricompensato; ma è come i comunisti propongono di abolirlo di modo che questo non si risolva in una catastrofe.

- Jehu -

fonte: communists in situ

1 commento:

Anonimo ha detto...

...c'è molta confusione sotto il cielo. Il comunismo è una dottrina nulla più che trasforma la materia in vita, all'opposto del capitalismo che la trasforma in morte.

La cosa interessante e non vado oltre, perché credo nel Partito l'unico il solo in grado di avere la dottrina nel suo seno.

I cosiddetti teorici o rivoluzionari saranno in un futuro non troppo lontano a spremere le loro meninci sul come procedere della specie ?